Vorrei riuscire a parlare solo di neve, solo di tracce, di disegni su di
essa. Come dieci anni fa, quando qualcuno, dondolandosi su una sedia
davanti a un
monitor di computer vuoto e lento, ha nominato il mio nome e io ho
risposto.
Di sole, vette, canti, brindisi ho risposto. E ancora di amicizia,
euforia, scherzi, racconti, passione, solitudine e poi compagnia. Come
se le voce non fosse abbastanza forte, ho assecondato la voglia sempre
più numerosa di ascoltare, con altre parole su video, su tela, su
montagne, con la consapevolezza che tutto ciò che avrei detto sarebbe
rimasto lì, alla portata di occhi e orecchie vicine e lontane, vecchie e
nuove.
Così ho iniziato.
Quella volta dalla cima quando ho descritto il piacere di camminare per
monti di notte, godendo dell’oscurità rotta da qualche stella in alto e
qualche barlume di civiltà in basso. Fino all’alba, fermandosi a
guardare i funghi emergere dalle foglie secche dell’anno prima.
O
quell’altra volta in cui il silenzio della nevicata nel bosco era
tappeto ideale per contemplare l’inverno nascente, inventando propositi
per la stagione iniziata. E ancora quando vi ho guardati, uno a uno,
scendere la Carcamogena urlanti di euforia, per poi risalire e gettarvi
tra l’ombra e la luce curva del Lago Saporito. Qualcuno è imploso,
qualcun altro è volato, ma diamine, che spettacolo!
Sarebbe davvero bello ricordare ogni cosa. Magari insieme, magari con
una festa. Le cose vissute lo
meriterebbero. Altrimenti il loro valore per metà è perso.
Per esempio non vorrei perdere un solo istante delle sensazioni di
quella giornata passata a inseguire con lo sguardo la vostra prima vera
grande discesa – ma chiamarla discesa è come chiamare onda sonora la
musica di un’orchestra intera – nell’anfiteatro di Vallestrina in neve
fresca. Vi siete fermati e avete contemplato la valle dall’alto del
crinale, vi siete fermati e avete riconosciuto negli occhi degli altri
la stessa incredula gioia che ha sorpreso voi. Lì, in quel preciso momento,
ho colto il rispetto per il mondo che vi stava sotto sopra. Poi vi siete
lasciati andare e volando tra luce, cristalli, boschi, strade avete
riportato a casa la voglia di condividere emozioni. Altrimenti il loro
valore per metà è perso.
Ecco, quell’episodio, questo ricordo, vorrei tenermelo stretto.
Ma ce ne sono altri. Sono moltissimi. L’essere dove sono ha, tra gli
altri, il pregio di concedermi tempo per alimentare la memoria e tenerla
viva. Vivere sul crinale è metaforicamente vivere sul filo del presente:
giri lo sguardo da un lato e osservi la strada fatta per salire fin qui,
volgi lo sguardo dall’altro lato ed ecco aprirsi dinnanzi l’immenso
scenario delle possibilità future. Io mi trovo bene sul crinale. E’
troppo bello guardare da dove venite e scommettere su dove andrete.
Lasciatemi dunque ricordare tutte le volte in cui siete tornati da
discese, salite, gare, brindisi, successi, in altre montagne, al di là
della pianura, qualche volta al di là del mare. Ho sentito spesso
parlare di spirito crinale. Il seguirvi nelle vostre imprese mi ha dato
modo di credere che pur non trattandosi di spirito in senso
trascendente, qualcosa di vero deve esserci.
Altrimenti non mi spiego
come possa essere, dai racconti che ne fate, altrettanto bello
conquistare la montagna più alta e bianca di tutte, e percorrere in
bicicletta uno sterrato con l’unico obiettivo di un bicchiere come
premio. Altrimenti non mi spiego come un rifugio possa trasformarsi ogni
volta nell’ombelico del mondo. Come un’alba possa ripetersi sempre
uguale ma sempre con la sorpresa negli occhi. Come una foto mostrata
agli amici possa ogni volta, anche a distanza di mesi-anni, rievocare
sensazioni di meraviglia. Come lo stesso sentiero, percorso avanti e
indietro mille e più volte, possa conservare il fascino di condurre in
un altro mondo, in cui ogni cosa bella è ogni volta diversa e uguale
alle volte precedenti. Come la neve.
E come la neve io vado e vengo, sparisco poi torno, mi modifico ma
nell’essenza non cambio.
Passeggio sulla cresta che congiunge due
versanti fatti di ricordi e prospettive. Posso farlo io che abito
fisicamente un crinale, potete farlo voi che abitate nel posto giusto
del mondo, o almeno quello che si ritiene tale.
Andate pure, sparite, cambiate, ma non perdete la strada per tornare,
raccontare le vostre esperienze e realizzare qualche piccolo sogno in
compagnia. Affinché l’essenza non cambi. Affinché i ricordi non si
perdano. Affinché non scendiate mai dal crinale.
Almeno per i prossimi dieci anni, poi ne riparleremo.
A coloro che sono andati e non torneranno possiamo solo dire, con il
dubbio se riusciranno o meno ad ascoltarci, che è un peccato non averli
qui, e sarà un peccato ancora maggiore non averli qui
fra altri dieci anni. Ma quello che hanno lasciato non teme né questi né
i prossimi dieci volte dieci anni. E' impresso in indelebili tracce nel versante dei ricordi,
senza il quale una linea
chiamata crinale non esisterebbe.
Detto quel che è stato detto, è tempo di festeggiare e di chiedersi se
almeno una minima parte dei propositi del
primo editoriale sono stati realizzati...
|