Gli
estremi che si toccano
La
linea è irregolare ma arrotondata. La parte inferiore dell’immagine
è bianca, la superiore è incredibilmente azzurra, di un azzurro così
vivo e limpido che freni la macchina e ti fermi a guardare.
Sei ancora
lontano ma davanti a te non c’è nulla, il tuo orizzonte è una
catena montuosa e il suo cielo infinito. Capisci che quel giorno sarà
speciale da quel colpo d’occhio che credi di non aver mai
visto prima, qui a pochi chilometri da
casa tua, in una terra che non è chissadove e che basta poco per
raggiungerla.
Il cielo è immobile. È lì a bloccare lo spazio e il tempo, sembra
quasi che ti dica «Vieni su che oggi sarà un giorno lungo una
vita. Ciò che vedi è immobile, oggi non cambierà, oggi sarà un
luogo fuori dal mondo, tutto rimarrà fermo nel tempo.» Rimonti
in macchina e raggiungi i piedi di
quella catena, alla base di quella linea irregolare e arrotondata
che chiamiate crinale oltre alla quale c’è solo cielo. Né mondo né
persone. Solo cielo.
Gli sci cadono sulla neve battuta con un tonfo sordo; ti appoggi sulle
racchette e ti guardi intorno: la seggiovia si muove lenta, dietro
di te e ai lati ci sono gli altri, quelli che come te sono venuti su
all’appuntamento con quel manto intonso e quel sole ardente.
Sì
ci sono tutti; chi manca è lì con il pensiero. Due scatti secchi
ti immobilizzano le gambe sugli sci; sono due scatti che ti legano
alla neve in un rapporto di dipendenza. Ancora non lo sai ma oggi
sarai felice di essere vivo.
Un lago tanto atteso
E' lungo il Crinale dal Cusna al Vallestrina, il suo mosso profilo si
mantiene in quota spesso sopra i 2000 metri, linea sinuosa tra salite,
discese, e bruschi salti. Il versante nord nella sua totalità è
simbolo di libertà applicata allo sci. Pendii, passi, anfiteatri,
canali, valli e valloni sono l'ambiente ideale dove realizzare i
propri sogni di fuoripista. E tra questi ne esiste uno, forse non il più bello o il più
difficile, ma sicuramente quello che nell'immaginario di chi ha
imparato a sciare qui mantiene ancora un fascino ineguagliato.
Il suo nome evoca giornate indimenticabili e per molti, per il suo
comodo e facile accesso (appena di là dalle piste), è stato il primo
assaggio del fantastico nuovo mondo fuoripista del Crinale. Fare il
Lago Saporito significava abbandonare le piste battute, dalle curve in
fotocopia, dalle traiettorie a memoria e allontanarsi solo di qualche
centinaio di metri, poco più ad est, ma a sufficienza per immergersi
in uno scenario nuovo e sentirsi totalmente in discussione. Allora si
imparava a non dare per scontato niente, a non pretendere una discesa
come se fosse dovuta. Varcare quella porta d'accesso, in punta
di piedi, significa porsi delle domande e predisporsi a ricevere qualsiasi risposta.
E quel giorno...oggi...le risposte sono arrivate. Eccome!
La prima seggiovia è la rampa di lancio del definitivo distacco e
quella durante la quale con i sensi si studia il mondo intorno. Ci ritroviamo
così a penzolare dai seggiolini
della 2000 con gli occhi fissi sui pendii sopra e sotto di noi con la
nettissima ed ingestibile sensazione che le prossime saranno ore
indimenticabili.
Arrivati in cima prudono le gambe e la testa gira dall'eccitazione. L'emozione
e il presentimento di questo giorno sono amplificate dagli amici e dalla
gente che ti circonda nella quale riconosci le tue stesse sensazioni.
Una sola foto non può rendere quel momento...ma aiuta.
L'ora è giunta e
tagliando sotto la seggiovia verso Est tagliamo fuori tutto il resto del
mondo che non sia Noi, la Neve, i nostri Sci. Poi arriva il primo muro.
Due curve su neve fresca, magnifica, la pista è sotto di noi, in fondo,
200 metri che sembrano anni luce. Bisogna avere ritmo. Curva più lunga
verso destra, sotto le roccette, poi giù a uovo in picchiata per un
lunghissimo traverso. La velocità decresce, si sale e bisogna spingere
con le racchette, una spinta, due spinte...poi il tempo si ferma.
Il Lago è una conca e lo si guarda dall'alto. Da lì lo vedi tutto,
scegli se attaccarlo dritto e poi risalire o aggirarlo e affrontarlo
di lato. Il Lago è una magia perché mentre scendi senti la montagna
alta alle tue spalle ma nello stesso momento vedi le pareti chiudersi
intorno a te ai lati e davanti. Il Lago ti avvolge. E quando spunti
su, dall'altra parte capisci che non è stato come fare un canale, un
pendio o una parete. Anche se per poco, in quel poco, sei stato al
centro della montagna e tutto il resto era al di fuori di quel
cratere.
Quel giorno il Lago si è concesso come non mai,
sorreggendoti, sollevandoti, guidandoti lungo le sue pareti che vedi
ai lati, sotto, davanti, ovunque e poi ti ha portato su, sul suo
limite, offrendoti lo spettacolo dell'ultima ripidissima parete che
riporta alle piste. Ci si guarda negli occhi e si pensa:"Se la
neve è così ovunque...." senza il coraggio di terminare la
frase...
In faccia al Gigante
Il tratto di pista che ci separa da una nuova partenza,
da un nuovo viaggio viene divorato con la fretta di chi sbriga le pratiche
più insignificanti per arrivare al dunque. Sì OK, bella la pista, ma
lassù...
Lassù è la volta di andare verso Ovest e di sentirsi piccoli piccoli.
Scendere per la Bora vuol dire chiedere permesso al Gigante
addormentato. Percorri il crinale verso il Cusna e prima di arrivare
alla sua base ti lanci giù lungo il canale della Bora, un anfiteatro
naturale che ti porta verso valle. Se anche quel fuoripista oggi è perfetto tutti i dubbi
evaporeranno spezzando quelle catene che per
tutto l'anno ti frenano. Neve riportata, neve ventata, temperature,
pericoli. Via tutto. Oggi si scia davvero. Il canale ci accoglie
tutti, sia chi scende in serpentina stretta lungo il canale
principale, sia chi si lancia in lunghe diagonali per accarezzare
tutta la gola. E alla fine si taglia verso Carcamogena, un immenso
foglio bianco in cui lasciarsi andare. Carcamogena è una lastra
perfetta, larga e lunga che discende fino al limite della vegetazione.
Ci si dispone in batteria e si scende verso gli alberi spogli con una
serpentina più o meno stretta. C'è che si concentra sulla
sciata e c'è chi si ripete "miodiomiodiomdiomiodio" al
contatto soffice e dolce delle solette su quel manto intonso. E' come
una mano nascosta sotto quel soffice strato di polvere di neve che ti
prende e ti rassicura, ti porta a destra o a sinistra dove vuoi tu
fino a quel limitare della vita, della vegetazione, dove ti volti e
ancora non credi non solo ai tuoi occhi ma anche al tuo spirito. Sotto
quel cielo che più blu non rivedrai mai ti chiedi se tutto quello è
stato reale, se quella sensazione che il tuo sistema nervoso ha
ricacciato su fino al cervello è stata vera...
Finalmente ti accorgi
che quel giorno il Gigante non dorme, ma è un fiero compagno di
avventure. Guardi gli altri stupefatti come te consapevoli che in quel
giorno lungo una stagione, ogni fuoripista, ogni gola, ogni prato,
ogni riva ti darà quelle sensazioni, quella neve e quella
soddisfazione irripetibile. C'è chi sottolinea che non si pestano le
tracce altrui, c'è chi osserva la propria traccia come consapevolezza
di essere vivo, c'è chi non vuole credere che tutto quello sia così
a portata di mano. Con la frenesia di chi si è trovato nella
casetta di marzapane senza la strega a rompere le scatole, ci si
lancia nella vegetazione con la voglia folle di ritornare in quota...
Fretta! Schiva quel faggio, fretta, attento al ramo, fretta, gira di là,
fretta...non va bene! Finisce che poi, giustamente, arriva da un albero
l'avvertimento di non distaccarsi troppo dalla realtà. Curva verso
sinistra, il bosco è quasi finito, sono in ritardo merda (o troppo in
anticipo), 2 metri di sci non ci passeranno mai tra quegli alberi e
infatti...Boom! Arriva qualcun'altro e gli sto chiudendo la strada, anche
lui ha fretta, troppa fretta, è in ritardo merda (o in anticipo), non ci
passa e infatti...altro Boom! Una racchetta spezzata e un ginocchio
dolorante sono il risultato. Uno per uno. OK abbiamo capito l'antifona.
Angelo custode
Vada per la botta al ginocchio, che tanto passa presto, ma perché
rompere una racchetta proprio oggi!? Tornare giù e perdere un giro è ben
peggio, anche se a pensarci bene non è poi così grave. L'insegnamento
ricevuto è prezioso e questo è abbastanza.
L'Angelo
più che un semplice fuoripista è un vero e proprio viaggio. Dall'arrivo
della seggiovia a 2066 Mt. si procede sempre in quota verso Est seguendo la
stupenda lama del Crinale. Sotto, a sinistra, la conca del Lago Saporito e
più in là la pianura, a destra il Prado e la valle dell'Ozzola. Uno
scenario che riempie gli occhi e il cuore. Arriviamo al punto in cui
bisogna scendere e lo facciamo come se fossimo nati per farlo. Il pendio
ripidissimo e una neve farinosa che ad ogni curva si stacca e ci segue,
rendono la discesa entusiasmante. Siamo i primi a galleggiare su quel
manto immacolato e tracciamo curve che cerchiamo di rendere perfette in
modo che non stonino, ma si amalgamino, senza deturparlo, al paesaggio.
Poi come sempre arriva il bosco, quello vero, che si attraversa seguendo
il sentiero del Passone tra salti, passaggi stretti, ripidi tornanti e le
nostre urla di puro divertimento. Ci accoglie a Pianvallese una numerosa
comitiva di escursionisti intenti nel preparare la salita e noi, come una
strana apparizione, vi passiamo in mezzo tra due ali di gente stupita a
bocca aperta nel vedere quel gruppo di sciatori scalmanati venuti da
chissà dove nel bosco.
Il viaggio finisce di nuovo alla partenza degli impianti ed è tempo di
ricongiungimenti con chi momentaneamente ci aveva lasciato e con chi si
aggiunge iniziando qui la sua magnifica giornata.
In onore alla neve
E' in onore della neve che si riaffronta la Carcamogena, questa volta
più a est, verso le piste, partendo dall'alto, fra i canalini
naturali che si sono formati fra le millenarie pietre che spuntano
tutto l'anno fra erba e neve, fra veglia e sonno. Una
di queste pietre è quella che noi chiamiamo il "sasso scarpa"
per evidenti motivi. Da un lato di essa vi è un canalino che la costeggia
ripidissimo e largo, in alcuni punti, non più di 6/7 metri. Ci si dispone
in fila per scendere uno alla volta e in posizione precaria si segue la
discesa di colui che ti precede studiandone ogni curva e ogni movimento
con un misto tra desiderio di scendere e paura nel farlo. Quando è il
proprio turno si è quasi felici di lasciare quella precaria posizione di
attesa in bilico su due lamine di ferro lunghe meno di 2 metri, uniche
responsabili del tuo stare in piedi.
Pronti, via! La concentrazione è
alle stelle. L'errore, con quella fantastica
neve, significherebbe al massimo un bel capitombolo, ma sarebbe meglio
evitare... Tutto sembra filare liscio, poi inevitabilmente
qualcuno sbaglia e l'errore sopra citato si manifesta con una tale
potenza, una tale immensa grandiosità che rasenta la perfezione. E'
Cristian a regalarci uno dei momenti che più rimarranno impressi nella
storia del Crinale: è il suo turno, quelli già arrivati lo guardano dal
basso (compresa una telecamera), quelli che attendono di scendere lo
studiano dall'alto, lui sceglie curve larghe, è ancora nel tratto
iniziale più ripido e riesce a controllare la velocità, poi il pendio
declina leggermente, il canale si fa più largo e le curve più lunghe,
accelera forse troppo e mentre imposta una curva verso sinistra gli sci
già sommersi nella polvere decidono che è ora di volare, si piantano e
lui si esibisce in una stupefacente capriola aerea in avanti di 360°
atterrando seduto completamente bianco dalla neve. Fantastico! Il pubblico
si esalta e applaude, a lui gira forse un po' la testa, ma è contento e
si vede (video 775Kb:
).
Bisogna concludere degnamente e dopo quella stretta e
indimenticabile discesa fra i canali, si completa l'opera serpeggiando
a lato della discesa precedente. Completando l'opera, gli ultimi
fraseggi di quello spartito perfetto, ci si ferma poco distante a dove
ci si è fermati al giro prima per consacrare quella giornata con la
sublime offerta di tre mignon di superalcolici da tracannare in un
rituale orgiastico fra baccanali e libagioni pagane...
La gioia e la fatica
Parlando del nostro crinale, di quel crinale, tutti subito
pensano al Cusna, a quella sua schiena arrotondata che sale su da
ovest, le roccette a est, il prato in vetta dove sedersi e osservare
il panorama. Il Cusna che forma la testa del Gigante Addormentato, il
Cusna così imperioso con i suoi 2121 Mt.
è l'immagine buona del crinale, quella più popolare,
quella pulita, quella nobile. Ma dall'altra parte di quella linea
irregolare e rotonda c'è l'esatto contrario. Con 1901 Mt. e una
parete NW ruvida e antica il Vallestrina è il lato oscuro del
crinale, il limite da affrontare solo quando esso decide di
concedersi. Posto a est per prendere il primo sole che sorge, esso
sfida la notte quando, al tramonto, alcuni raggi di luce continuano ad
illuminare quella parete di roccia creando tinte rossastre, vive e
spettacolari. Arde e s'impenna il Vallestrina, con i suoi spigoli e le
sue cuspidi, perfetta architettura di canali e pareti, valli e picchi.
Da lontano osserva i timorosi viandanti lungo il Passone, falchi e
poiane nelle quiete del loro volo planare, il sole nel suo arco dalla
nascita alla morte. E' lì che arrivi tu, è lì che arriviamo noi
quando decidiamo di scendere con gli sci dalla gola a ovest del
Vallestrina, a ovest delle nostre stesse paure. Perché in questo
giorno dove tutto è perfetto, dal cielo blu alla neve bianca, anche
la montagna si vuole concedere.
Non si arriva al Vallestrina e poi si va giù. Prima bisogna osservare
bene il terreno perché lassù la pendenza è maggiore e le pietre
affiorano o sono coperte da pochi centimetri di neve. Si percorre
tutto il crinale verso est perché lì sotto la parete NW la montagna
forma una specie di conca larga e si riesce ad esaminare perfettamente
la natura del terreno come in un anfiteatro in cui si osservano le
gradinate di fronte. Ognuno decide per sé, ognuno traccia nella sua
mente un ipotetico percorso da seguire per raggiungere la valle. C'è
chi sceglie proprio la parte bassa di quella parete NW illuminata al
tramonto, rocciosa e sterile. Lì sotto la neve accumulata si concede
in meravigliose pennellate fino laggiù in fondo, alla base del
tricorno del Vallestrina. Gli altri, più timorosi, cercano canali più
sicuri, magari passando da uno all'altro per poi arrivare tutti in
fondo a quella splendida parete (video
1Mb: ). Cos'è la seduzione del diabolico se
non il raggiungimento dei nostri desideri più nascosti? Fino a quel
punto della giornata la neve era stata magica ma lì, sotto quel monte
che non conosce mezze misure, o concede o toglie, che rimane
illuminato anche quando il sole è tramontato, la neve raggiunge uno
splendore innaturale. Sopra il fondo di neve indurito da un inverno
particolarmente rigido che ha perfettamente coeso gli strati mai così
simili di nevicate successive c'è un lieve strato di polvere di
stelle di neve fresca e non ancora compattata, uno strato che
abbraccia gli scarponi e più su verso le ginocchia, un abbraccio
morbido, sottile, timido ma avvolgente. E più sotto senti le lamine
fare presa perfetta su quel fondo resistente ma garante. La discesa è
splendida: sopra il blu di un cielo terso e limpido con un colore che
solo la natura può creare; sotto quella particolare condizione di
neve resa dalle temperature basse di un inverno tenace e una recente
nevicata che ha fornito quello strato né troppo alto o troppo basso,
o compatto o pesante o bagnato... Eccolo lì il gigante che ti porta
a valle per mano, su quella mano capace di strapparti dal suolo
durante una bufera ma morbida nell'accarezzarti le gambe mentre scendi
giù su quella parete verticale, con la pianura in faccia a fare da
spettatrice ammutolita e il rumore degli sci sulla neve come compagno
di discesa.
Arrivare giù e voltarsi è un gesto di ringraziamento e
contemplazione. Complice la presenza di tutti i freerider di scuola
Febbio, complice la docilità di una giornata perfetta, complice
l'aria asciutta e fresca che riempie i polmoni, ti fermi per
ringraziare di essere al mondo, per aver gustato una meraviglia così
rara a così poca distanza da casa tua, dal tuo mondo quotidiano, da
quella città mai sembrata così lontana. Oggi ti sei ritagliato un
pezzo di vita e l'hai messa in un cassetto, un pezzetto di vita che
ora che è stata vissuta ti rimarrà sempre lì e qualsiasi cosa possa
accadere nessuno te la potrà togliere.
Poco importa che per tornare al mondo dei civili si debba scendere per
un bosco stretto e percorrere a piedi e braccia l'anello di fondo che
riporta alla partenza degli impianti. La neve è notevole anche fra
gli arbusti e i rami bassi, perfetta per seguire sentieri addormentati
sotto la coltre. Si arriva a Pianvallese stremati, chi ha del cibo e
dell'acqua la condivide con gli altri. Poi giù verso la partenza,
consci che quel giorno è entrato dentro e la soddisfazione è tale
che non si tenteranno più avventure troppo lontano dalla pista almeno
fino a domani.
Tornato alla civiltà scopri che è soltanto l'una di pomeriggio e
dopo un degno pasto a base di pane, salume, formaggio e acqua,
consumato nei lentissimi venti minuti che ti riportano fino a Piazzale
San Lorenzo, affronti la seconda parte del viaggio in un esuberante
soddisfazione per aver soddisfatto tutti quei desideri che ti nascono
dentro ogni volta che indossi un paio di sci. Oggi, quel giorno,
hai vissuto: hai vissuto la natura, la neve, la montagna, la pendenza,
l'aria e il cielo, l'ombra e la luce, la soddisfazione e la fatica, la
gioia e il disappunto, l'unione di un gruppo e la solitaria discesa
verso valle. Oh, sì... verranno altri giorni, probabilmente anche più
belli, o anche più brutti ma soddisfacenti comunque. Però
l'importante è che oggi, quel giorno, tu l'hai vissuto e ti rimarrà
dentro e nessuno potrà togliertelo.
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